Nell’articolo precedente si è parlato della tipica “fase del no” che affiora circa al secondo anno di vita nella crescita di un bambino; abbiamo visto in particolare che funzione svolgono i frequenti e insistenti “no”, ovvero devono soddisfare il bisogno e “la curiosità del bambino di “conoscere”, “esplorare” ed affermarsi con le proprie esigenze e richieste” (Albisinni M. 2012).
Dunque che cosa fare come genitori?
Premettendo che si tratta di un periodo difficile da gestire, la prima indicazione generale per gli adulti di riferimento è quella di tentare, quanto più possibile, di assumere un atteggiamento flessibile, ma allo stesso tempo fermo, non facendosi sopraffare dalle emozioni più intense e negative; essere in altre parole autorevoli, usare vigilanza e attenzione, dando fiducia al bambino quando ce n’è bisogno e rinforzando l’alleanza con lui. Facciamo degli esempi pratici: quando un bambino comincia a manifestare un comportamento oppositivo “è giusto chiedergli, anche più volte, di fare una cosa o di non farne un’altra; ma non dobbiamo arrabbiarci troppo se non ubbidisce, e dobbiamo continuare a chiedere, e a spiegare perché chiediamo, intervenendo con fermezza, dopo un po’, solo se si tratta di cose davvero importanti o pericolose, evitando in ogni caso di punirlo per il suo modo di comportarsi. Dobbiamo lasciarci guidare dall’idea che si tratta di un comportamento passeggero, che ha una sua ragion d’essere, corrisponde a un “bisogno di crescita” (come quando nostro figlio buttava per terra gli oggetti)” (Petter G., 1998).
A volte si può chiedere al bambino di fare la cosa contraria di quello che desidera, ad esempio se vuole essere preso in braccio perché è stanco, lo si prende, ma dopo un po’ il genitore può dire “ah, ora fino a casa non ti lascio più scendere”; in questo modo, molto probabilmente, sarà il bambino che si trova in questa fase a chiedere e a sforzarsi di voler scendere.
Mettere in pratica questi metodi educativi, spesso, risulta per i genitori tutt’altro che facile soprattutto perché i comportamenti dei figli provocano in loro reazioni di rabbia, frustrazione, delusione, stanchezza, etc.; sono proprio queste emozioni intense insieme alla preoccupazione e ai sentimenti negativi che nascono in alcuni genitori a non facilita la gestione di questa particolare fase. Pertanto queste emozioni e le reazioni che ne conseguono necessitano di essere per prima disciplinati (Albisinni M. 2012) dai genitori stessi per poi rispondere al bambino.
L’atteggiamento di risposta dell’adulto alle richieste seppur assurde che può avanzare il bambino in questo periodo è decisivo per il suo sviluppo emotivo, affettivo e cognitivo per permettergli di sentire i propri bisogni e riconoscere sé stesso e ciò che è differente da lui.
Se l’adulto a sua volta si oppone con insistenza si rischia di innescare una lotta senza fine che accresce il suo senso di impotenza nel gestire la situazione, può diventare eccessivamente proibitivo ed il bambino potrebbe sentirsi inibito nell’esplorazione sociale oppure diventare più provocatorio e ribelle.
Essere consapevoli che il dire “no” da parte del bambino, più che un capriccio esiste come bisogno aiuta il genitore ad essere più paziente e a ricercare strategie più adatte per far fronte ai comportamenti caratteristici di questa specifica fase. Da un lato, l’adulto rappresenta per il bambino un modello di identificazione di cui ha bisogno, per cui il bambino va oltre l’imitazione del genitore da cui impara molte cose, ovvero “vuole fare come lui”, ma “vuole anche essere come lui”, dall’altro lato ci sono dei momenti in cui si fa sentore con forza il bisogno di essere diverso dal genitore per affermare una propria identità e “un’immagine di sé” ben definita distinta dagli altri: anche sapere questo rende il genitore più consapevole e preparato ad affrontare al meglio la cosiddetta “fase del no”.