Intorno ai due anni di vita di un bambino inizia una nuova fase di crescita, caratterizzata da frequenti “no” e da disubbidienza: è la cosiddetta “età della testardaggine”. Solitamente si tratta di un periodo temporaneo che può durare fino a tutto il terzo anno di vita in cui il bambino/a sembra essere diventato improvvisamente ribelle, non rispetta più le regole come accadeva fino a poco prima e disattende le richieste dei genitori ovunque ci si trovi; può accadere nei momenti più disparati come tutti i genitori hanno occasione di sperimentare, quando si sta vestendo il bambino, quando sta mangiando o sta giocando, quando si esce per una passeggiata oppure se ci trova in un negozio. Per esempio, se il bambino sta facendo qualcosa che i genitori reputano pericoloso come giocare con un vasetto di vetro o si sporca i vestiti e gli viene detto di non farlo, continua ancora, come per dispetto a rifarlo magari anche con più intensità e con più gusto come per contraddire i genitori (Petter G. 1994).
Le reazioni dei genitori rispetto a questi atteggiamenti possono essere diverse a seconda di come vengono interpretati: soprattutto quando iniziano a notare il cambiamento nel comportamento del loro bambino e che ciò si ripete nel tempo possono preoccuparsi. Alcuni genitori intervengono in modo più deciso rimproverando e aumentando divieti e richieste pensando di dover intervenire subito per evitare che queste cattive abitudini si cronicizzino. Prima di fornire indicazioni sulle reazioni genitoriali più opportune da seguire (oggetto del prossimo articolo), è necessario dare una spiegazione a questa repentina disubbidienza dei bambini e soprattutto porci la seguente domanda: si tratta davvero di disubbidienza?
A partire dai due anni di età il bambino inizia a rendersi conto di essere un’entità distinta dalla madre e dagli altri adulti vicino a lui; prima di allora egli vive in simbiosi con la madre senza poter distinguere la sua individualità da lei; i suoi bisogni, desideri e sentimenti sono percepiti come condivisi con gli altri (Petter G., 1994). Questo è quanto afferma molto sinteticamente la teoria dello sviluppo di Margaret Mahler (1897-1986), psicoanalista americana, in cui illustra tutte le fasi del processo di “separazione-individuazione” (processo che si ripeterà nell’età dell’adolescenza): questa consapevolezza procede di pari passo con lo sviluppo psicomotorio e linguistico del bambino in cui si fa vivo in maniera preponderante il bisogno di esplorazione. E’ come se dicesse a se stesso “sono diverso da te e mi allontano, ma sono anche unito a te e quindi torno vicino” (Petter G., 1994).
La Mahler parla di “nascita psicologica” per indicare, per l’appunto, la presa di coscienza di essere, due anni circa dopo la nascita biologica, separato e di poter prendere delle decisioni, ed è proprio questa capacità di nuova acquisizione da parte del bambino, cioè decidere di propria iniziativa e fare ciò che si vuole, che necessita di essere messa alla prova, di essere utilizzata. Il modo migliore di sentire di avere una propria volontà è fare in maniera diversa da come gli altri vorrebbero, opporsi: ciò fa sentire autonomi e fa sperimentare il senso di possedere la capacità di decidere.
L’autore che ha parlato specificamente di questa fase individuando una tappa importante dell’evoluzione psicogenetica del bambino, caratterizzata dalla comparsa del “no” attraverso l’osservazione diretta del bambino (come la Mahler) è lo psichiatra e psicoanalista statunitense René A. Spitz (1887-1974). Secondo Spitz questa tappa permette al bambino di giungere ad una completa distinzione tra se stesso e la madre e consente l’accesso alle relazioni sociali e al riconoscimento di sé. Quindi che cosa fare come genitori? tenendo conto delle teorie illustrate finora e come sopra accennato sarà trattazione del prossimo articolo.